La compagnia di Vittorio Capotorto ha trovato casa: un nuovo spazio nel teatro della chiesa di Our Lady of Pompeii, nel Village, ospiterà gli spettacoli del gruppo e aspira a diventare un centro di aggregazione intorno alla cultura italiana e alle arti performative

Il sogno di aprire a New York uno spazio teatrale che guardi all’italia Vittorio Capotorto lo coltiva da tempo. Da quando, nella seconda metà degli anni ’90 arrivò dall’Italia con un bagaglio che conteneva una lunga esperienza come allievo di Eduardo De Filippo. Ora il sogno sta per realizzarsi. Lo spazio è quello dei seminterrati della chiesa Our Lady of Pompeii di Carmine Street, luogo legato a stretto filo con la storia dell’immigrazione italiana a New York. Il teatro, per il cui avviamento è stata avviata anche una campagna di crowdfunding, esiste già: ha un ampio palco, un ottima acustica, spazio per i camerini e potrò accomodare circa 250 persone. Si chiamerà Italytime Theater, dal nome della compagnia di Capotorto e il sipario si alzerà per la prima volta il 16 ottobre, per poi proseguire con un cartellone di circa sette spettacoli l’anno, oltre a musical per bambini e attività didattiche e ricreative.

“L’idea è quella di ridare un centro culturale alla comunità”, esordisce Vittorio Capotorto mentre mostra gli ampi locali del teatro che attualmente ospita un centro sociale per anziani (che potranno continuare ad utilizzare gli spazi durante il giorno).

VC

Vittorio Capotorto, direttore artistico di Italytime Theater

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Il palco del teatro nel seminterrato della chiesa Our Lady of Pompeii

Il teatro si rivolge specificamente ad un pubblico americano cui, negli obiettivi dei promotori, si vuole insegnare ad apprezzare la cultura italiana. Così gli spettacoli, pur essendo quasi completamente in inglese, avranno sempre una qualche connessione con l’Italia e la sua cultura. “Ho avuto modo di conoscere l’opera di Shakespeare, Ibsen o Čechov perché erano stati tradotti – spiega Capotorto, direttore artistico del teatro – altrimenti mi sarebbero stati inaccessibili. Così, credo che per far conoscere la cultura italiana sia necessario tradurla. Inoltre il pubblico italiano qui a New York è ristretto e noi non avevamo intenzione di fare una cosa di nicchia, ma di parlare a un pubblico ampio. Alcuni dei testi che proporremo, per esempio parte di quelli inclusi nello spettacolo con cui apriamo, sono stati tradotti da noi”.

E per Capotorto teatro e Italia sono da sempre stati un duetto vincente, tanto che proprio con l’idea di utilizzare la recitazione per perfezionare la lingua riuscì a farsi conoscere a New York: “Mandai il progetto alla Columbia University e mi chiamarono subito. Poi, con la stessa formula, insegnai in molte altre università e i miei corsi sono diventati un modello”.

Prima venne Teatromania, un gruppo fondato da Capotorto nel 1999. Poi la sua idea di teatro si allargò alle arti performative in generale, e così Teatromania si è trasformato in Italytime, il nome con cui ora Capotorto intraprende questa nuova avventura e che, dice, “parla di un tempo italiano, un tempo per la cultura italiana, in generale, senza confinarsi per forza al teatro”.

In questa nuova declinazione, il progetto originario si amplia ad altre attività culturali, entrano nuove forze nella gestione della non-profit, come Francesco Pagano, conosciuto studente ai tempi della Columbia University, oggi partner di Capotorto nell’avventura di Italytime.

La parola che ricorre di più nei discorsi del direttore artistico è “novità”. Nell’idea che anima Italytime c’è l’urgenza di far spazio al nuovo: “Privilegeremo cose che hanno un valore di novità, anche se sono dei classici. Tematiche nuove, oppure vecchie storie ma di qualità e presentate con un linguaggio nuovo. Come per esempio Aldo Nicolai, i cui testi fanno parte dello spettacolo Performances in Color con cui apriremo la stagione, che è molto poco conosciuto. O come un Amleto in salsa piccante, che faremo presto, in cui ci sono tutti i noti personaggi dell’Amleto, ma il testo è ambientato nella cucina del castello di Elsinore”.

Il tutto nel profondo rispetto dell’autorialità cui Capotorto tiene molto: “Quello che l’autore ha scritto è sacro”, dice specificando che starà poi a lui e alla compagnia scegliere testi che sappiano parlare a tutti. “L’idea è di fare un teatro per la gente”, precisa Capotorto. “Un teatro che sappia accogliere con un abbraccio questo pubblico che ha simpatia per l’Italia”, aggiunge Lisa Zaccaria, executive director di Italytime che spiega anche che alle performance seguiranno momenti di incontro e convivialità con rinfreschi a base di prodotti italiani.

“Non vogliamo essere populisti, ma se si fa un teatro che non arriva alla gente allora non si è fatto niente. Vogliamo fare le cose per bene ma vogliamo parlare a tutti, trattando tutti i generi e tutti i temi. Allo stesso tempo vogliamo parlare alla comunità italiana e a chi ama l’Italia,  per dare loro un luogo di incontro e aggregazione intorno alla cultura italiana, ma senza ghettizzarci. Niente mura, niente porte chiuse”.

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L’esterno della chiesa Our Lady of Pompeii, nel West Village

Il fatto di essere ospitati  in una chiesa, rassicurano gli organizzatori, non condizionerà la scelta dei temi, né limiterà la libertà espressiva: “Nei limiti, ovvio, delle decenza”, precisa Capotorto che conduce anche un programma su Telematerl’emittente televisiva cattolica legata proprio alla chiesa del Village, dal titolo I Fioretti di Papa Francesco.

Il nuovo teatro, che ha ricevuto il supporto di Dacia Maraini e Roberto Saviano, darà spazio a danza, musica, recitazione, arti visive. E lo spettacolo che lo inaugura, Performances in Color, in scena il 16 e 17 ottobre e il 6 e il 7 novembre, è un collage di arti performative, dal teatro alla danza, con un’incursione nella pittura: sul palco ci sarà un pittore (uno diverso per ogni spettacolo) che, reagendo e lasciandosi ispirare da quanto avviene intorno a lui, comporrà un quadro che sarà poi venduto all’asta tra gli spettatori a fine spettacolo. “Così il pubblico potrà compare un quadro che è stato realizzato sotto i suoi occhi, un pezzo unico e irripetibile. E questa non è novità…”, conclude il direttore artistico.